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Avviso

UNA SOCIETA’ DECADENTE

Mp – 23 aprile 2015

 

I numerosi “mariuoli” e le loro malefatte; la disistima nei politici (per non parlare dei partiti) a causa dei privilegi e delle immeritate ricompense, ma anche per via delle loro risse e dei conseguenti cambi di casacca senza alcuna vergogna; il clima generale di disorientamento in cui non esiste più, se non per una minoranza, il senso dell’esempio positivo e del dovere civico, l’appartenenza ad una comunità (io e noi), l’educazione verso i più deboli e gli anziani, il rispetto per la parola data, l’obbiettività, né tanto meno la ricerca di verità. Tutto è discutibile e inquinato, tutto è aleatorio, persino il futuro. La corruzione dilaga come segno di un tempo malinconico in decadenza, dove i furbi per anni sono stati più invidiati che censurati, più assolti che condannati, dove l’impulsività degli istinti, purtroppo, ruba oggi lo spazio alla riflessione della ragione.

Un lungo elenco di cose tristissime che l’attualità può ben descrivere come un arido deserto che il rito del voto amministrativo sta per attraversare in cerca di fonti non avvelenate a cui ristorarsi. L’impresa è di quelle temerarie perché richiederebbe l’impegno di tutti per non perdere l’orientamento. E invece, la brutta bestia dell’astensione è lì in agguato e assieme ad essa pure lo sciacallo del voto, che sta schiumando di rabbia per come è stato trattato in questi ultimi decenni. Sì, quel voto immiserito da tanti traditori, prosciugato da promesse non mantenute, prima invocato e poi sfruttato e logorato persino da un’idea buona come quella delle primarie. Ogni azione, oltre l’uomo, è sotto processo in politica: i pensieri, le parole, le opere e pure le omissioni. Ma diversamente dal “mea culpa” della celebrazione eucaristica, nessuno, o quasi, in questi ambienti ha mai ammesso le proprie responsabilità. Tutt’al più, costoro, a propria discolpa, si sono appellati a concetti assolutori come “così fan tutti”, oppure “è accaduto a mia insaputa”. Tant’è che i rappresentanti eletti (anche quelli onesti) che dovrebbero essere d’esempio per qualsiasi cittadino - in altre parole la migliore “umanità” che una società può esprimere - si sono trasformati in paradigma di disonestà, malaffare e menzogna, burattini alla mercé di destra e di sinistra a seconda delle appartenenze. E i mass-media, in particolare la rete, ringraziano. La società non ha più fiducia in loro, ma loro (dobbiamo pur dirlo) sono lo specchio fedele della società.
Non ho più nulla da aggiungere, anche se saprei cosa dire: già troppe parole al vento si sprecano inutilmente ogni giorno in tutti i campi.

Maurizio Panizza
Volano

DON GUETTI E L’IMPEGNO POLITICO

Giornale “Trentino” - 25 gennaio 2015
(Replica inviata al quotidiano, ma non pubblicata)


Don Guetti
Egregio Direttore,

riprendo un interessante contributo di Luciano Imperadori apparso in prima pagina, dal titolo “Cooperazione, un legame a filo doppio”.

Nel condividere lo spirito con il quale lo studioso ricorda il pensiero autonomista di don Lorenzo Guetti, non posso, tuttavia, non rimanere stupito per una sua affermazione, quando parla di Guetti, come di un politico molto attivo. Imperadori, infatti, in premessa al suo articolo, afferma testualmente a riguardo di don Guetti: “Nella sua attività politica, sia alla Dieta di Innsbruck, sia al Parlamento di Vienna, dove era deputato, condusse un’instancabile lotta per l’Autonomia del Trentino”.

Orbene, non volendo togliere nulla a quello che è sempre stato considerato il “padre” del movimento cooperativo del Tirolo di parte italiana, da modesto cultore di quel periodo mi permetto di dissentire da quanto sostiene Imperadori. Lo faccio attingendo ad un altrettanto autorevole studioso della Cooperazione trentina, qual è Marcello Farina, citando alcuni passi di un suo pregevole volume che delinea la figura e l’impegno di don Guetti, intitolato: “E per un uomo la terra”.

A riguardo delle elezioni alla Dieta di Innsbruck (il consiglio Regionale del Tirolo), Farina, a pag. 178, scrive: “La mancata partecipazione al mandato dietale (del 1891, n.d.r.) di numerosi deputati trentini provocò nuove elezioni il 22 settembre 1892 e poi ancora il 10 luglio 1893, il 4 novembre 1885, il 9 novembre 1896 e ancora il 5 novembre 1897. Guetti, sempre rieletto non andò mai alla Dieta di Innsbruck, e con lui gli altri deputati astensionisti.”

In merito, invece, al presunto impegno di Guetti al Parlamento di Vienna (secondo Imperadori), scrive ancora Marcello Farina a pag. 64: (…) “E si può qui ricordare che l’unico intervento che don Guetti fece al parlamento di Vienna nel giugno del 1897, come deputato eletto per la quinta curia, riguardò proprio la bachicoltura e la conseguente industria serica.”

Aggiungo, infine, un’altra considerazione di Farina, utile ad inquadrare la questione. A pag. 180 lo studioso osserva: “La tensione politica in qualche modo era diventata meno “urgente” (rispetto all’impegno cooperativo, n.d.r.), anche perché l’astensionismo di cui don Guetti era uno dei massimi esponenti, portava con sé anche un effetto secondario non trascurabile: quello di smorzare l’entusiasmo e la partecipazione della gente alle elezioni, le cui scadenze anche negli anni successivi furono segnate dalla stanchezza e dall’assenteismo.”

Alla luce di ciò, è evidente che l’azione di don Lorenzo Guetti in favore dell’Autonomia trentina fu, per scelta, ben diversa rispetto a quella di coloro che nei medesimi anni decisero di non rifugiarsi in uno sterile Aventino, ma di continuare dalle aule parlamentari un impegno per l’Autonomia trentina in parte già acquisita, in parte ancora da conquistare.

Dopo pochi anni dalla morte prematura di Guetti, avvenuta nel 1898, sarebbe comunque arrivata la Prima Guerra Mondiale a spazzare via qualsiasi cosa, a stravolgere ogni impegno e ogni speranza.

 

Maurizio Panizza - Volano

 

STESSI DIRITTI. STESSI DOVERI?

20 luglio 2014

Premessa. A Trento è in corso un dibattito pubblico da alcuni giorni a riguardo di una discriminazione fatta ad un'insegnante presunta lesbica. I pro e i contro si sprecano in questo dibattito che alla fine vede chi si contrappone ai finanziamenti pubblici alle scuole private a coloro che ne sono favorevoli.

Personalmente, pur facendo parte di quelli che ritengono che la scuola privata è una scelta e che dunque deve essere sostenuta in maniera autonoma, mi interessa affrontare un'altra questione di principio, che qui avanti cerco di spiegare.

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“Salvaguardare i valori della scuola cattolica”, dice giustamente la superiora suor Eugenia Libratore. Non potrebbe essere altrimenti perché parliamo dell’Istituto cattolico Sacro Cuore di Trento. Allo stesso modo qualcuno potrebbe sostenere di salvaguardare i valori della scuola evangelica, parlando di un istituto della Chiesa Valdese; oppure salvaguardare i rigorosi valori religiosi della scuola quacchera, come ad esempio hanno deciso di fare i coniugi Obama per i loro pargoletti. Pare persino una banalità, ma tutto ciò è coerente con le scuole confessionali. Le famiglie che scelgono autonomamente queste scuole – come dice suor Libratore – “esigono risposte che non si allontanino dai valori che si vuole sostenere”. E per la Superiora la presunta omosessualità di un’insegnante è appunto una minaccia a tali valori. Semmai il problema è un altro. E’ quello cioè che risponde alla domanda se sia giusto che tutta la società italiana - dichiaratamente cattolica al 63% e praticante solo al 25% - si accolli i costi di una scelta che è del tutto individuale e intimamente legata alla fede religiosa delle singole famiglie che guardano all’ambito scolastico come ad una comunità di tanti individui che tendono al medesimo fine. In questo momento la risposta a tale quesito non mi interessa, in quanto essa riporta ad un’annosa questione che non intendo affrontare, volendo invece parlare di un altro aspetto generale, a quanto pare finora non affrontato. Ritornando alla questione “Sacro Cuore”, il mio ragionamento è il seguente: se per questa scuola confessionale è “giusto” che sia preteso dagli insegnanti il massimo rigore nel rappresentare essi stessi i valori cattolici di riferimento, non dovrebbe essere preteso la stessa cosa dalle famiglie? Mi spiego meglio. Non è un segreto per nessuno che oggi anche i cattolici convivano fuori dal sacramento del matrimonio, divorzino, pratichino l’adulterio, usino anticoncezionali, abortiscano, rubino a man bassa, facciano violenze e pure pratichino l’omossesualità: tutte azioni contrarie alla dottrina cristiana. Premesso questo, mi chiedevo in questi giorni di acceso dibattito: visto che un istituto cattolico, come quello del Sacro Cuore, è da considerarsi una comunità composta da insegnanti, alunni, e genitori, una comunità - come diceva suor Libratore - che vive nella salvaguardia di determinati valori, orbene, alla pari della “povera” professoressa, anche alle famiglie viene chiesto di essere dei “buoni cattolici”? In altre parole per essere ammessi al Sacro Cuore, ai genitori viene chiesto se frequentano i sacramenti? Oppure quale è il loro stato civile? E se sono divorziati vengono respinti? Se, ad esempio, a seguito di una sentenza risulta che hanno rubato, truffato o fatto violenza, vengono immediatamente allontanati? Se si vocifera in classe che qualche genitore è un adultero oppure un omosessuale, anche loro vengono chiamati a colloquio dalla superiora per chiarire la questione? Perché, ovviamente, anche i genitori come gli insegnanti, fanno parte di questa micro-società scolastica dove tutti si conoscono e dove lo scandalo è costantemente dietro alla porta. Oppure i soldi (intendo quelli pagati dallo Stato e dalle famiglie) come ai tempi delle indulgenze tanto avversate da Lutero ripianano qualsiasi trasgressione di fede, qualsiasi salvaguardia dei valori, qualsiasi ipocrita affermazione?

SAPER ‘VENDERE’ BENE IL NOSTRO TRENTINO


Mp – 25 agosto 2013

Caro Assessore Mellarini,
seguo anche in Facebook i tuoi interventi a favore di un'immagine del Trentino che sia la più ampia e accattivante possibile. Non può che essere così, visti i tempi di crisi che richiedono - per poterli superare - interventi incisivi a livello amministrativo, politico e anche personale, nell'ottica di condividere una responsabilità comune a tutti i cittadini: quella di valorizzare al massimo la nostra realtà provinciale che nel turismo, in particolare, può raccogliere i frutti migliori. Orbene, premesso questo, mi permetto di suggerirti una proposta che va in tale direzione. Come potrai vedere dalla riflessione e dall'articolo allegati (quelli riportati qui sotto, n.d.a.), già ho sentito il bisogno di segnalare pubblicamente un'occasione mancata per far conoscere in Italia e all'estero il nome del Trentino. Se già tale ragionamento non fa parte di una "progettazione" di marketing provinciale - sinceramente non lo so - ritengo che perlomeno nei confronti di TUTTE le realtà produttive che beneficiano in qualche modo di facilitazioni e/o contributi provinciali – diretti o indiretti – dovrebbe porsi l'OBBLIGO di riportare a fianco dei loro nomi, loghi o marchi (nel modo grafico più congruo) pure il "brand", come dicono gli esperti, del Trentino. Questo per fare sì che situazioni come quella segnalata sul giornale dal sottoscritto a riguardo di Melinda, e successivamente ripresa pure da altri lettori, non abbiano più a ripetersi. Come a dire, in altre parole, che tutti i nostri prodotti di qualità – industriali, artigianali, enogastronomici, culturali e pure intellettuali – dovrebbero accompagnarsi SEMPRE ad un marchio di "denominazione territoriale" del Trentino, uguale per tutti, così da promuovere costantemente all'esterno – in modalità e direzioni diverse -  la nostra Provincia e confermare così che essa è un territorio di eccellenza sotto molti punti di vista. In tal senso iniziative sporadiche, come peraltro accade tuttora, vengono ad avere poco senso e incisività: se il momento contingente lo richiede (eccome lo richiede!) non si può più lasciare al caso, o alla sensibilità del singolo imprenditore un'operazione importante come quella di coniugare il nome di un prodotto di qualità con il territorio – altrettanto di qualità – della nostra Provincia. Così che a nulla serve nemmeno promuovere un luogo - ad esempio per "Melinda" la Val di Non - se il potenziale consumatore/fruitore/turista paradossalmente non viene messo nella condizione di sapere dove si trovi chiaramente quel territorio. Non mi dilungo oltre. Spero solo, con questo,  di avere un po' contribuito a riportare nuova attenzione sull'attualissimo problema del "saper vendere bene" il nostro prodotto principale che è l'immagine, la bellezza delle nostre valli, monti e laghi abbinandolo alle capacità e all'inventiva della nostra gente nel saper produrre, costruire, offrire, ospitare.

 

 

La "Val di Non" come centro del mondo

Della serie: “Saper promuovere il nostro Trentino”.

Mp - 28 luglio 2013

Parlavo giorni fa di come si potrebbe fare promozione “in proprio” del Trentino da parte di chiunque frequenti internet, in particolare i social-network.
Oggi, invece, volevo affrontare un’importante occasione persa per fare promozione su scala nazionale alla nostra provincia. Mi riferisco alle mele “Melinda”, nome conosciutissimo in Italia e presumo anche all’estero.
Mi trovavo qualche settimana fa in Versilia e un giorno, come capita, mi sono recato a fare la spesa al supermercato. Fra altri frutti in mostra, erano ben disposte sui ripiani pure le nostre mele “Melinda”. Per abitudine ma anche per sano spirito di appartenenza, ne ho messo una confezione nel carrello.
Arrivato alla cassa, la cortesia e la loquacità della cassiera mi hanno spinto a dire orgoglioso che quelle mele provenivano da dove venivo io, cioè dal Trentino. “Dal Trentino? – ha esclamato stupita la cassiera. Chissà perché pensavo fossero della Valle d’Aosta. Del resto, da noi sono conosciute solo come mele coltivate in Val di Non e nulla per la verità si dice del Trentino sulla famosa etichetta”.
E’ vero, ho pensato, tanta pubblicità per promuovere un’etichetta e niente e nessuno che dica agli italiani dove si trovi la Val di Non. Ma che razza di pubblicità è mai questa? - mi sono chiesto. Chi sono quei pubblicitari-creativi che l’hanno ideata? Si vuole fare promozione ad una valle ma non ad una provincia forse per via del classico luogo comune che vorrebbe i nonesi tirchi e poco disponibili verso gli altri, in questo caso verso l’economia e l’immagine complessiva del Trentino?
Eppure per queste pubblicità (non solo di stampa: ricordate in tv la saga dell’etichetta dimenticata?) certamente si sono spesi centinaia di migliaia di euro: un’occasione sprecata per aggiungere gratuitamente a quella sconosciuta “Val di Non” pure un “Trentino” che di sicuro saprebbe evocare in molti potenziali turisti, sia certezze geografiche che suggestioni naturali di cui abbiamo estremo bisogno, visto che la crisi deve ingegnarci a fare ancora di più e sempre meglio.
Sperando di convincere chi ha prodotto quella pubblicità, che la Val di Non non è il centro del mondo, invito i lettori che volessero verificare in internet ciò di cui sto argomentando, a digitare in Google-Immagini “mele Melinda”: tutti potranno verificare che una sola foto pubblicitaria contiene la parola “Trentino”, un altro centinaio e più, solo la dizione “Val di Non”. Un'ultima domanda, infine, mi sovviene: il Consorzio Melinda riceve forse contributi provinciali?







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