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STESSI DIRITTI. STESSI DOVERI?

20 luglio 2014

Premessa. A Trento è in corso un dibattito pubblico da alcuni giorni a riguardo di una discriminazione fatta ad un'insegnante presunta lesbica. I pro e i contro si sprecano in questo dibattito che alla fine vede chi si contrappone ai finanziamenti pubblici alle scuole private a coloro che ne sono favorevoli.

Personalmente, pur facendo parte di quelli che ritengono che la scuola privata è una scelta e che dunque deve essere sostenuta in maniera autonoma, mi interessa affrontare un'altra questione di principio, che qui avanti cerco di spiegare.

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“Salvaguardare i valori della scuola cattolica”, dice giustamente la superiora suor Eugenia Libratore. Non potrebbe essere altrimenti perché parliamo dell’Istituto cattolico Sacro Cuore di Trento. Allo stesso modo qualcuno potrebbe sostenere di salvaguardare i valori della scuola evangelica, parlando di un istituto della Chiesa Valdese; oppure salvaguardare i rigorosi valori religiosi della scuola quacchera, come ad esempio hanno deciso di fare i coniugi Obama per i loro pargoletti. Pare persino una banalità, ma tutto ciò è coerente con le scuole confessionali. Le famiglie che scelgono autonomamente queste scuole – come dice suor Libratore – “esigono risposte che non si allontanino dai valori che si vuole sostenere”. E per la Superiora la presunta omosessualità di un’insegnante è appunto una minaccia a tali valori. Semmai il problema è un altro. E’ quello cioè che risponde alla domanda se sia giusto che tutta la società italiana - dichiaratamente cattolica al 63% e praticante solo al 25% - si accolli i costi di una scelta che è del tutto individuale e intimamente legata alla fede religiosa delle singole famiglie che guardano all’ambito scolastico come ad una comunità di tanti individui che tendono al medesimo fine. In questo momento la risposta a tale quesito non mi interessa, in quanto essa riporta ad un’annosa questione che non intendo affrontare, volendo invece parlare di un altro aspetto generale, a quanto pare finora non affrontato. Ritornando alla questione “Sacro Cuore”, il mio ragionamento è il seguente: se per questa scuola confessionale è “giusto” che sia preteso dagli insegnanti il massimo rigore nel rappresentare essi stessi i valori cattolici di riferimento, non dovrebbe essere preteso la stessa cosa dalle famiglie? Mi spiego meglio. Non è un segreto per nessuno che oggi anche i cattolici convivano fuori dal sacramento del matrimonio, divorzino, pratichino l’adulterio, usino anticoncezionali, abortiscano, rubino a man bassa, facciano violenze e pure pratichino l’omossesualità: tutte azioni contrarie alla dottrina cristiana. Premesso questo, mi chiedevo in questi giorni di acceso dibattito: visto che un istituto cattolico, come quello del Sacro Cuore, è da considerarsi una comunità composta da insegnanti, alunni, e genitori, una comunità - come diceva suor Libratore - che vive nella salvaguardia di determinati valori, orbene, alla pari della “povera” professoressa, anche alle famiglie viene chiesto di essere dei “buoni cattolici”? In altre parole per essere ammessi al Sacro Cuore, ai genitori viene chiesto se frequentano i sacramenti? Oppure quale è il loro stato civile? E se sono divorziati vengono respinti? Se, ad esempio, a seguito di una sentenza risulta che hanno rubato, truffato o fatto violenza, vengono immediatamente allontanati? Se si vocifera in classe che qualche genitore è un adultero oppure un omosessuale, anche loro vengono chiamati a colloquio dalla superiora per chiarire la questione? Perché, ovviamente, anche i genitori come gli insegnanti, fanno parte di questa micro-società scolastica dove tutti si conoscono e dove lo scandalo è costantemente dietro alla porta. Oppure i soldi (intendo quelli pagati dallo Stato e dalle famiglie) come ai tempi delle indulgenze tanto avversate da Lutero ripianano qualsiasi trasgressione di fede, qualsiasi salvaguardia dei valori, qualsiasi ipocrita affermazione?

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