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Mario Pasi

MEDICO E PARTIGIANO

 

Nato a Ravenna il 21 luglio 1913, frequentò la Facoltà di medicina e chirurgia dell’Università di Bologna. Mantenuto agli studi dal padre elettricista e dalla madre bracciante, conseguì la laurea nel 1936. L’anno seguente svolse il servizio militare a Firenze frequentando la Scuola di applicazione della Sanità militare. Congedato nel luglio 1938, iniziò ad esercitare la professione presso l’Ospedale Santa Chiara di Trento dove si specializzò in ostetricia. Nel 1940 fu richiamato alle armi quale ufficiale medico della Divisione "Pusteria". Combatté dapprima sul fronte occidentale e poi, da gennaio a maggio 1941, su quello greco-albanese. Congedato per motivi di salute, riprese la propria attività di medico all’Ospedale Santa Chiara di Trento. Da quel momento iniziò a partecipare all’attività dell’organizzazione comunista clandestina di Ravenna. Pasi, infatti, già nel corso degli studi universitari, aveva maturato posizioni comuniste.

A Trento, dopo il suo rientro, conobbe anche Ines Pisoni (nome di battaglia «Serena»), sua coetanea, alla quale si legò sentimentalmente e idealmente. Ines, introdotta dalla famiglia di Pasi nell’organizzazione clandestina ravennate, funse inizialmente da collegamento tra questa organizzazione e quella trentina. Dopo l’8 settembre 1943, infatti, Pasi era entrato nel primo CLN trentino. I due giovani si separarono nel febbraio 1944 quando Pasi, per sfuggire all’arresto, fu costretto ad unirsi a una formazione partigiana attiva nella zona del Piave. Qui assunse il nome di battaglia di “Montagna”.

Divenuto esponente di spicco nella Divisione garibaldina "Nino Nannetti", il 22 novembre fu nominato commissario del Comando unico di zona del CLN bellunese. Catturato dalle SS nella notte del 10 novembre, dopo una riunione di capi partigiani, fu sottoposto a sevizie e torture per quattro mesi. I tedeschi rifiutarono ogni proposta di scambio. A causa della crudeltà delle torture e volendo mantenere il silenzio, Pasi tentò vanamente il suicidio tagliandosi le vene.

Quando il 10 marzo 1945 il Comando tedesco di Belluno ordinò la rappresaglia per l’uccisione di tre soldati, furono selezionati dieci prigionieri tra i quali anche Pasi. Condotti in località Bosco delle Castagne, fuori dalla città, Pasi fu impiccato per ultimo. Alcune fonti sostengono che Mario fosse già morto quando fu impiccato. Nel dopoguerra fu concessa alla sua memoria la massima onorificenza al valor militar con la seguente motivazione: «Fin dall’8 settembre impugnava valorosamente le armi contro l’invasore. Ricercato dalla polizia tedesca quale organizzatore della lotta di liberazione, si arruolava nelle formazioni partigiane della montagna di cui divenne animatore fecondo e combattente audace. Commissario di brigata e poi di Zona partigiana, valoroso fra i valorosi, sosteneva durissimi combattimenti infliggendo gravi perdite al nemico. Apostolo di bene e di carità, prodigava la sua opera di medico a lenire le sofferenze dei feriti, senza mai risparmiarsi nei pericoli e nei sacrifici. Catturato per delazione, affrontava e sosteneva con sereno stoicismo le sevizie che solo la più efferata crudeltà poteva immaginare. Bastonato a sangue, con le membra fracassate, trovava ancora la forza di porre fine al martirio tagliandosi le vene, ma il bieco nemico impediva che la morte lo strappasse alla sua sadica barbarie e poi lo finiva a colpi di bastone. Il suo cadavere, impiccato per estremo oltraggio, restò esposto per due giorni e, circondato dall’aureola del martirio, fu faro luminoso che additò ai superstiti la via da seguire per raggiungere la vittoria».

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Biglietto scritto da Mario Pasi durante la prigionia e fatto recapitare alla sua formazione partigiana: “Cari compagni mandatemi del veleno non resisto più. Montagna”

A lui, dopo la guerra, sono state intitolate una via cittadina a Ravenna e una piazza nel centro storico di Trento. Accanto a questi “atti” istituzionali, di Mario Pasi rimane il ricordo cristallino e coerente di un difensore della libertà e della democrazia. Approfondire e conoscere questa nobile figura e il suo contesto storico, politico e sociale, diventa una preziosa opportunità di emancipazione collettiva, utile a specchiarsi nel passato fuori dalla ritualità e dalla retorica che troppo spesso ammantano in misura pericolosamente crescente l’esercizio storico della memoria.

 

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