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Pier Paolo Pasolini

Poeta, romanziere, autore di opere teatrali, critico letterario, saggista e polemista, Pasolini è una delle figure cruciali nella cultura nostrana dal XX° secolo. Nato a Bologna nel 1922, dopo un apprendistato quale sceneggiatore per Fellini - collabora ai dialoghi de "Le notti di Cabiria", 1957 - e più ancora per Bolognini ("La notte brava", 1959; "Il bell'Antonio", 1960; "La giornata balorda", 1960), Franco Rossi ("Morte di un amico", 1960), Carlo Lizzani ("Il gobbo", 1960), egli debutta nella regia col superbo "Accattone" (1961): al centro della vicenda, sta quel sottoproletariato già protagonista di due suoi noti romanzi ("Ragazzi di vita", 1955; "Una vita violenta", 1959), estrema propaggine d'un universo contadino minacciato dall'imminente avvento del benessere.

Sono argomenti che torneranno, in modi più tradizionali, nel successivo "Mamma Roma" (1962), storia dell'impossibile riscatto tentato pel tramite del figlio da una non più giovane prostituta. Nell'episodio "La ricotta" (1963) e ne "Il Vangelo secondo Matteo" (1964), Pasolini si confronta poi con il tema della Passione: in chiave ferocemente comica nel primo, che gli costò non poche traversie giudiziarie; secondo un'ottica terzomondista nel secondo, che resta fra i suoi esiti più alti. Hanno struttura e trasognata cadenza di fiaba gli episodi de "La terra vista dalla luna" (1967) e "Che cosa sono le nuvole?" (1968): interpretati da Totò come il lungometraggio "Uccellacci ed uccellini" (1966), sono a quest'ultimo preferibili per la loro grazia e la capacità di sintesi di temi altrimenti complessi. Il prosieguo della filmografia pasoliniana si sposta, in forme vieppiù discutibili e regressive, verso i luoghi del mito: "Edipo re" (1967), "Teorema" (1968), "Porcile" (1969) e "Medea" (1970) sono lavori involuti e tormentati, sovente mossi da uno sterile e scomposto gusto della provocazione. Più prolifico il ritorno alla dimensione favolistica della "trilogia della vita": totalmente immersi in una dimensione edenica e prestorica, all'insegna d'una sessualità libera e naturale, "Il Decameron" (1971), "I racconti di Canterbury" (1972), "Il fiore delle Mille e una notte" (1972) mostrano limpide tracce di poesia e sono testimonianza d'una ritrovata felicità creativa del regista.

Il prematuro congedo, tuttavia, è affidato a quel "Salò o le 120 giornate di Sodoma" (1975) uscito dopo la tragica scomparsa sua. Perseguitato dalla censura di moltissimi paesi, il film - trasponendo il celebre testo sadiano nel periodo terminale del fascismo - porta alle conseguenze ultime i coevi discorsi dell'autore sul genocidio del popolo, compiuto dal Potere in nome dello sviluppo e della omologazione al consumismo. Stupri, torture, coprofagia ed altro ancora vengono mostrati attraverso immagini che colpiscono duro e lasciano il segno: il risultato è irricevibile per molti, ingestibile per alcuni, ma i valori formali della pellicola rimangono elevati ed innegabili.

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